mercoledì 28 settembre 2011

Energie rinnovabili, Meridionalismo e sottosviluppo - di N. Salerno


Gira la voce circa il fatto che il grande potenziale di fonti di energia rinnovabile di cui le regioni del mezzogiorno sembrano godere rappresenta il futuro del meridione. Siccome tale voce circola anche su siti e blog di alcuni partiti che si dicono meridionalisti, penso sia utile fare qualche riflessione in merito.
Non penso serva una laurea in economia per capire che avere a disposizione energia a buon mercato costituisce un vantaggio in termini di competitività. La domanda che invece ci si dovrebbe porre è se limitarsi a produrre solo energia sia sufficiente per far uscire un paese o una parte di esso dalla condizione di sottosviluppo e di conseguente disoccupazione.

Per intenderci, per molti anni paesi di milioni di persone (ad esempio i paesi arabi), pur essendo produttori di petrolio, non sono riusciti ad emanciparsi dallo sfruttamento e dal sottosviluppo. Solo in pochi si sono arricchiti, mentre il popolo emigra nei paesi importatori del loro stesso petrolio. Perché? Il motivo è molto semplice. Se non hai a disposizione un sistema produttivo capace di assorbire il petrolio estratto o gran parte di esso, tutto quello che puoi fare è venderlo agli altri paesi industrializzati. D’altro canto, non avendo un sistema produttivo proprio, devi importare tutti i beni dall’estero. In sintesi vendi materia prima grezza e importi merci e prodotti lavorati. Dovendo compensare il surplus del lavoro necessario per trasformare la materia prima in merci e beni ne consegue una bilancia commerciale sempre in negativo.

Per rimanere nel nostro paese, possiamo guardare alla Basilicata. La Lucania fornisce il 10% del fabbisogno nazionale di petrolio, ma, a parte qualche decimale in più sul PIL, continua a navigare nelle acque del sottosviluppo (come attestano sia la Banda D’Italia che l’ultimo rapporto Svimez) senza mostrare segni distintivi di crescita rispetto alle altre regioni meridionali.
Tra l’altro concentrare le risorse solo sulla generazione di energia, porterebbe ad una crescita dell’offerta e al conseguente abbassamento dei prezzi a tutto svantaggio delle stesse regioni meridionali. Va bene quindi investire sulle energie rinnovabili, purché le politiche di sviluppo non si limitano solo a questo settore.

Senza una crescita armonica e sistemica di un apparato produttivo e dei servizi, di un opportuno sistema creditizio mirato alle esigenze del meridione, un qualche meccanismo di “accompagnamento” al mercato delle novelle industrie ed imprese, la realizzazione delle infrastrutture e investimenti in ricerca e sviluppo, non si creeranno mai le condizioni per invertire la tendenza e impedire che nei prossimi anni il sud subisca una ennesima amputazione demografica.

Sebbene la riflessione possa apparire semplice e quasi banale, essa può, a mio modesto avviso, ben servire da metro per misurare la bontà delle politiche che verranno messe in atto (sempre se ciò avverrà) sia dai governi nazionali che da quelli regionali. Con lo stesso metro si potrà altresì misurare la credibilità dei partiti e/o dei politici. Soprattutto potrà aiutare a capire chi realmente ha a cuore il destino del meridione e discernere così l’erba buona da quella cattiva, ovvero il meridionalismo buono dal meridionalismo cattivo.

A titolo di esempio, si potrà discernere tra chi si limita a sbandierare l’illusione delle energia rinnovabile quale unico atto salvifico del meridione senza adoperarsi in altro.
E chi viceversa, insieme allo sviluppo delle fonte rinnovabili, si prodiga da un lato a creare le condizioni reali di sviluppo, pretendendo dallo stato progetti e finanziamenti (circa 61 miliardi di euro secondo lo Svimez) e dall’altro ad evitare che realtà aziendali già esistenti (vedi Alenia Aeronautica, Termini Imerese, …) non subiscano la stessa sorte toccata a Pietrarsa, Mongiana, San Leucio, Cantieristica navale, Cirio, etc.,

Nicola Salerno

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