Ecco la terza ed ultima parte dell'analisi dell'ottima analisi di Maria Carannante. Nel caso non abbiate letto le parti precedenti, sono ancora disponibili ai seguenti link.
- I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. (Parte prima)
- I dieci punti sull’intervento straordinario che non avevate mai osato chiedere. (Parte seconda)
A cura di Maria Carannante
L’intervento straordinario per lo sviluppo delle aree depresse è stato lo strumento di politica economica di maggior interesse del secolo scorso. Durato quarant’anni e frutto dell’influenza del pensiero economico e delle condizioni socio - economiche non solo italiane, ma anche dell’Europa e degli USA di quel periodo, è di certo oggetto di un acceso dibattito che sembra non essersi ancora concluso.
Cresciuto insieme alla questione meridionale, anche se non è nato con essa, si è radicato nei ricordi attraverso giudizi poco veritieri e poco documentati.
L’articolo tenta di fare luce su alcuni punti più o meno conosciuti in modo rendere più trasparenti finalità, esecuzione ed effetti dell’intervento. L’articolo non si pone obiettivi di esaustività, rimandando a fonti più autorevoli, ma di mettere in discussione alcuni assiomi che sono nati sul tema.
8 - È stato il primo intervento di programmazione che ha interessato tutto il territorio dello stato:
La differenza sostanziale tra l’intervento straordinario partito negli anni ‘50 rispetto all’insieme delle leggi speciali per Napoli e per il Mezzogiorno, che si sono succedute dagli anni ‘80 dell’Ottocento fino al fascismo, e dagli interventi dell’immediato dopoguerra è legata alla presenza, per la prima volta, di un organico sistema
In altri termini, le legislazioni speciali dell’Ottocento si limitarono a provvedimenti che tutelassero particolari aree geografiche e particolari aspetti di esse. Si pensi ad esempio, alla Legge per risanamento di Napoli del 1885, a carattere prettamente urbanistico [18] o alla Legge sulla Sardegna del 1897, con finalità prettamente agricole. [17] Nei primi anni del XX secolo si susseguirono leggi anche a carattere più generale, ma che riguardarono sempre interventi isolati rispetto alla programmazione a carattere nazionale. [17]
Dopo una fase di interventi atti a tamponare situazioni di emergenza durante la seconda metà degli anni ‘40, le leggi degli anni ‘50, che segnarono l’inizio dell’intervento straordinario, stabilirono apertamente la necessità di includere il Mezzogiorno nel circuito economico del Paese. [17]
L’ente Cassa, inoltre, non si riferì tassativamente ai confini dell’area del Mezzogiorno, così come è definita attualmente, ma incluse nei suoi provvedimenti anche le province di Latina e Frosinone, alcuni comuni delle province di Rieti e di Ascoli Piceno, al confine con gli Abruzzi, e le isole dell’Arcipelago Toscano.7
Inoltre, per controbilanciare la spesa della Cassa, fu istituita una forma di spesa a carattere straordinario anche nelle aree del Centro e del Nord - Est, considerate, al pari del Mezzogiorno, aree depresse da integrare nell’economia del Paese.
Notevoli furono le differenze tra i due interventi, riassumibili nei seguenti punti: [19]
9 - La scelta del nome “Cassa” è stato oggetto di un acceso dibattito:
Necessario punto di cronaca rosa. La scelta del nome dell’ente avvenne durante la consultazione tra Alcide De Gasperi, Donato Menichella e Pietro Campilli. Indubbiamente, esso avrebbe dovuto essere indicativo delle funzioni e finalità dell’ente e quindi ci si affidò
Tuttavia fu lo steso De Gasperi a mostrare perplessità sulla possibilità di fraintendimento dell’operato dell’ente. “Cassa”, secondo lui, era un nome troppo allettante per chi volesse approfittare di un’ingente disponibilità di risorse pubbliche, ma non ottenne ascolto.
In realtà nessuno avrebbe avuto da ridire sul nome dell’ente se esso avesse svolto con diligenza il suo operato. La cattiva fama dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno è frutto della sua apparente cattiva gestione, perché lo scopo reale di risollevare la stagnante economia del Centro - Nord fu raggiunto e anche eccellentemente.
E fu così che si sprecarono studi a favore dell’eliminazione della spesa in conto capitale nell’area che, evitandone volutamente una rassegna, raggiunge l’apice in tempi moderni nel teorema meridionale del post - meridionalista8 Gianfranco Viesti.
Il diffondersi di un pensiero così saggiamente enunciato nelle menti di molti abitanti della penisola italica ha autorizzato, oltre all’annullamento di fatto di ogni possibile politica industriale sana nel Mezzogiorno, alla depredazione delle risorse ad esso spettanti negli ultimi venti anni.
10 - Ha sofferto della presenza di un forte coordinamento centrale delle politiche di sviluppo:
L’intervento straordinario, così come fu concepito, non avrebbe potuto funzionare. Non era possibile, da parte di un ente che osservava la situazione dalla lontana Roma, scegliere le misure giuste per ogni angolo di depressione economica che formava il Mezzogiorno d’Italia in quel periodo.
Fu per questa ignoranza che l’ente si pose l’improbabile obiettivo di annullare completamente il divario tra Nord e Sud. La convergenza di un’area che non poteva certo definirsi di antica industrializzazione non poteva avvenire in soli quarant’anni e perseverando su un’ottica centralistica che si rivelò fallimentare fin dall’inizio. Inoltre, si programmarono politiche di intervento uniformi su tutto il territorio in cui la Cassa operò, cosa che causò, oltre la mancata convergenza, l’accentuazione dei divari all’interno della stessa area. Restarono infatti escluse dall’intervento tutta l’area degli Abruzzi e del Molise9, l’area appenninica e le aree interne della Sicilia. [22]
Ma non solo. Gran parte delle scelte relative agli investimenti e alla collocazione delle imprese pubbliche furono condizionate fortemente dagli interessi nazionali piuttosto che locali. Ne sono un esempio, la costruzione della centrale nucleare del Garigliano e delle centrali elettriche a carbone che non risposero certo ad un fabbisogno energetico del Mezzogiorno. Si pensi oppure ai poli di sviluppo degli anni ‘60 e ‘70 che sorsero in riferimento ad idee di sviluppo già superate, secondo cui l’industria pesante avrebbe dovuto fare da traino agli altri settori, senza occuparsi della disoccupazione del Mezzogiorno, che avrebbe richiesto investimenti in imprese ad alta intensità di lavoro.
Questa politica apportò più inquinamento che benefici economici all’area ed un enorme utile agli industriali del Nord che vi insediarono gli stabilimenti.
Il ricorso ad un ente coordinatore che doveva comunque rispondere alle amministrazioni centrali prima, e anche a quelle locali poi, con l’istituzione dell’Agensud, rese le politiche di intervento lente e farraginose, al punto che molto spesso, le imprese locali preferirono investire senza ricorrere agli incentivi messi loro a disposizione. [23] Piuttosto esse soffrirono della ormai cronica carenza infrastrutturale, data l’inadeguatezza degli investimenti durante tutto l’intervento e successivamente ad esso, e della pressione delle imprese del triangolo che ostacolarono durante tutto questo periodo la nascita di un settore secondario autonomo. [3]
Infine, l’eccesso di discrezionalità da parte delle amministrazioni, la lentezza e la difficoltà di comunicazione tra gli enti fecero prosperare le politiche clientelari, forse l’unico effetto negativo di questo intervento che è stato messo in luce, probabilmente perché è l’unico per il quale si possa individuare una responsabilità più a Sud di Roma.
L’intervento straordinario per lo sviluppo delle aree depresse è stato lo strumento di politica economica di maggior interesse del secolo scorso. Durato quarant’anni e frutto dell’influenza del pensiero economico e delle condizioni socio - economiche non solo italiane, ma anche dell’Europa e degli USA di quel periodo, è di certo oggetto di un acceso dibattito che sembra non essersi ancora concluso.
Cresciuto insieme alla questione meridionale, anche se non è nato con essa, si è radicato nei ricordi attraverso giudizi poco veritieri e poco documentati.
L’articolo tenta di fare luce su alcuni punti più o meno conosciuti in modo rendere più trasparenti finalità, esecuzione ed effetti dell’intervento. L’articolo non si pone obiettivi di esaustività, rimandando a fonti più autorevoli, ma di mettere in discussione alcuni assiomi che sono nati sul tema.
8 - È stato il primo intervento di programmazione che ha interessato tutto il territorio dello stato:
La differenza sostanziale tra l’intervento straordinario partito negli anni ‘50 rispetto all’insieme delle leggi speciali per Napoli e per il Mezzogiorno, che si sono succedute dagli anni ‘80 dell’Ottocento fino al fascismo, e dagli interventi dell’immediato dopoguerra è legata alla presenza, per la prima volta, di un organico sistema
In altri termini, le legislazioni speciali dell’Ottocento si limitarono a provvedimenti che tutelassero particolari aree geografiche e particolari aspetti di esse. Si pensi ad esempio, alla Legge per risanamento di Napoli del 1885, a carattere prettamente urbanistico [18] o alla Legge sulla Sardegna del 1897, con finalità prettamente agricole. [17] Nei primi anni del XX secolo si susseguirono leggi anche a carattere più generale, ma che riguardarono sempre interventi isolati rispetto alla programmazione a carattere nazionale. [17]
Dopo una fase di interventi atti a tamponare situazioni di emergenza durante la seconda metà degli anni ‘40, le leggi degli anni ‘50, che segnarono l’inizio dell’intervento straordinario, stabilirono apertamente la necessità di includere il Mezzogiorno nel circuito economico del Paese. [17]
L’ente Cassa, inoltre, non si riferì tassativamente ai confini dell’area del Mezzogiorno, così come è definita attualmente, ma incluse nei suoi provvedimenti anche le province di Latina e Frosinone, alcuni comuni delle province di Rieti e di Ascoli Piceno, al confine con gli Abruzzi, e le isole dell’Arcipelago Toscano.7
Inoltre, per controbilanciare la spesa della Cassa, fu istituita una forma di spesa a carattere straordinario anche nelle aree del Centro e del Nord - Est, considerate, al pari del Mezzogiorno, aree depresse da integrare nell’economia del Paese.
Notevoli furono le differenze tra i due interventi, riassumibili nei seguenti punti: [19]
- Nel Nord - Est, in particolare, era già presente una, seppur debole, realtà industriale, formata dal polo industriale di Marghera e dal distretto tessile dell’alto vicentino. Inoltre, il territorio era in una situazione di vantaggio relativamente alle opere del Genio Civile rispetto al Mezzogiorno;
- L’intervento per il Centro e il Nord - Est fu attuato nella seconda fase dell’intervento straordinario, realizzatosi con l’erogazione di incentivi. Ciò ha permesso alle imprese di scegliere liberamente su cosa e come investire;
- Gli investimenti furono assegnati dallo Stato centrale direttamente ai Comuni considerati in ritardo con lo sviluppo. Ciò ha di fatto annullato le ingerenze esterne sulla localizzazione degli investimenti, anche se non sono mancate distorsioni legate alla disponibilità di risorse aggiuntive da parte degli stessi Comuni. Inoltre, l’assenza di un Ente con l’onere di coordinare tutte le operazioni, rese indubbiamente più snella la procedura di accesso alle risorse;
- Le imprese del triangolo industriale erano interessate allo sviluppo dell’area ed investirono lì già in precedenza. L’area di Marghera, composta da capitale prevalentemente del triangolo, era considerata uncorpo estraneo di sviluppo di tipo ottocentesco, che riuscì ad integrarsi perfettamente nella Terza Italia, attraverso la spinta ricevuta dalle imprese locali attraverso gli incentivi;
9 - La scelta del nome “Cassa” è stato oggetto di un acceso dibattito:
Necessario punto di cronaca rosa. La scelta del nome dell’ente avvenne durante la consultazione tra Alcide De Gasperi, Donato Menichella e Pietro Campilli. Indubbiamente, esso avrebbe dovuto essere indicativo delle funzioni e finalità dell’ente e quindi ci si affidò
Tuttavia fu lo steso De Gasperi a mostrare perplessità sulla possibilità di fraintendimento dell’operato dell’ente. “Cassa”, secondo lui, era un nome troppo allettante per chi volesse approfittare di un’ingente disponibilità di risorse pubbliche, ma non ottenne ascolto.
In realtà nessuno avrebbe avuto da ridire sul nome dell’ente se esso avesse svolto con diligenza il suo operato. La cattiva fama dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno è frutto della sua apparente cattiva gestione, perché lo scopo reale di risollevare la stagnante economia del Centro - Nord fu raggiunto e anche eccellentemente.
E fu così che si sprecarono studi a favore dell’eliminazione della spesa in conto capitale nell’area che, evitandone volutamente una rassegna, raggiunge l’apice in tempi moderni nel teorema meridionale del post - meridionalista8 Gianfranco Viesti.
Il diffondersi di un pensiero così saggiamente enunciato nelle menti di molti abitanti della penisola italica ha autorizzato, oltre all’annullamento di fatto di ogni possibile politica industriale sana nel Mezzogiorno, alla depredazione delle risorse ad esso spettanti negli ultimi venti anni.
10 - Ha sofferto della presenza di un forte coordinamento centrale delle politiche di sviluppo:
L’intervento straordinario, così come fu concepito, non avrebbe potuto funzionare. Non era possibile, da parte di un ente che osservava la situazione dalla lontana Roma, scegliere le misure giuste per ogni angolo di depressione economica che formava il Mezzogiorno d’Italia in quel periodo.
Fu per questa ignoranza che l’ente si pose l’improbabile obiettivo di annullare completamente il divario tra Nord e Sud. La convergenza di un’area che non poteva certo definirsi di antica industrializzazione non poteva avvenire in soli quarant’anni e perseverando su un’ottica centralistica che si rivelò fallimentare fin dall’inizio. Inoltre, si programmarono politiche di intervento uniformi su tutto il territorio in cui la Cassa operò, cosa che causò, oltre la mancata convergenza, l’accentuazione dei divari all’interno della stessa area. Restarono infatti escluse dall’intervento tutta l’area degli Abruzzi e del Molise9, l’area appenninica e le aree interne della Sicilia. [22]
Ma non solo. Gran parte delle scelte relative agli investimenti e alla collocazione delle imprese pubbliche furono condizionate fortemente dagli interessi nazionali piuttosto che locali. Ne sono un esempio, la costruzione della centrale nucleare del Garigliano e delle centrali elettriche a carbone che non risposero certo ad un fabbisogno energetico del Mezzogiorno. Si pensi oppure ai poli di sviluppo degli anni ‘60 e ‘70 che sorsero in riferimento ad idee di sviluppo già superate, secondo cui l’industria pesante avrebbe dovuto fare da traino agli altri settori, senza occuparsi della disoccupazione del Mezzogiorno, che avrebbe richiesto investimenti in imprese ad alta intensità di lavoro.
Questa politica apportò più inquinamento che benefici economici all’area ed un enorme utile agli industriali del Nord che vi insediarono gli stabilimenti.
Il ricorso ad un ente coordinatore che doveva comunque rispondere alle amministrazioni centrali prima, e anche a quelle locali poi, con l’istituzione dell’Agensud, rese le politiche di intervento lente e farraginose, al punto che molto spesso, le imprese locali preferirono investire senza ricorrere agli incentivi messi loro a disposizione. [23] Piuttosto esse soffrirono della ormai cronica carenza infrastrutturale, data l’inadeguatezza degli investimenti durante tutto l’intervento e successivamente ad esso, e della pressione delle imprese del triangolo che ostacolarono durante tutto questo periodo la nascita di un settore secondario autonomo. [3]
Infine, l’eccesso di discrezionalità da parte delle amministrazioni, la lentezza e la difficoltà di comunicazione tra gli enti fecero prosperare le politiche clientelari, forse l’unico effetto negativo di questo intervento che è stato messo in luce, probabilmente perché è l’unico per il quale si possa individuare una responsabilità più a Sud di Roma.
Fonte: Unblognormale
Riferimenti:
[17] Pescatore, G., “I caratteri della Questione Meridionale.”, in “Rivista Apulia, numero IV - 83”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Dicembre 1983.
[18] Festa, G., “Questione meridionale, legislazione speciale e dibattito storiografico.”, in De Vivo, P., Iaccarino, L., “Il Mezzogiorno e lo sviluppo delle aree interne. Questioni aperte, nodi irrisolti e prospettive di analisi.”, su “Akiris, II, numeri 4 - 5”, 2006.
[19] Fontana, G. L., Roverato, G., “Processi di settorializzazione e di distrettualizzazione nei sistemi economici locali: il caso Veneto.”, in Amatori, F., Colli, A., “Comunità di imprese. Sistemi locali in Italia tra Otto e Novecento.”, Il Mulino, Bologna, 2001.
[20] Menichella, D., “Intervento in memoria di Alcide De Gasperi.”, in D’Antone, L., “L’«interesse straordinario» per il Mezzogiorno (1943-1960).”, in “Meridiana, numero 24”, 1995.
[21] Viesti, G., “Il teorema meridionale.”, in “Incontro Nazionale di Area Democratica”, Cortona, 8 Maggio 2010.
[22] Giustizieri, D., “Dualismo territoriale all’interno del Mezzogiorno.”, in “Rivista Apulia, numero II - 76”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Giugno 1976.
[23] Giustizieri, D., “Brambilla terroni.”, in “Rivista Apulia, numero II - 84”, Banca Popolare Pugliese, Lecce, Giugno 1984.
7 Quindi un’area più estesa del territorio che fu del Regno Napoli.
8 Ammetto di avere inventato il termine, ma è indubbio che gli studiosi più recenti non possono essere considerati né classici né neomeridionalisti, essendo fortemente critici nei confronti di questi ultimi riproponendo il concetto di sviluppo in autonomia del Mezzogiorno.
9 La convergenza delle regioni Abruzzo e Molise ha avuto inizio negli anni ‘90 grazie al ricorso ai fondi europei e alle esternalità legate alla vicinanza ad un’area maggiormente sviluppata.
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