"Napoli città da vomito": Twitta così Dagospia, dopo la rapina subita da Hamsik nei pressi del San Paolo. Lo fa perché quando si parla di Napoli anche la società civile si sente in diritto di sfondare il muro della civiltà e sfociare nell'insulto sprezzante e generalizzato. A far vomitare è Napoli, ognuno di quelli nati o cresciuti qua, che hanno il nostro accento, non i tre in sella allo scooter che hanno portato via il rolex allo slovacco, dileguandosi poi in direzione del Rione Traiano.
Torino non è una città di merda quando rapinano Vucinic. Non lo è Milano quando a essere rapinato è Muntari. E nemmeno Parigi quando svuotano la casa a Lavezzi. Ma si sa, a Napoli un reato è più reato che altrove, e dopo gli insulti l'occasionale commentatore solitamente parte con la ramanzina savianoide alla città che deve reagire. Nulla di tutto questo succede ai milanesi, ai torinesi o ai parigini, perché lì il reato è considerato una semplice questione criminale che riguarda il singolo individuo che lo commette. Qui, invece, si parte sempre dal presupposto che in fondo siamo conniventi, perché - diciamolo - tutti almeno mezzi camorristi.
Io sono napoletano. Mio padre è napoletano. Anche mio nonno e suo padre lo erano, rispettivamente dei Ponti Rossi e del Parco Margherita. Pare che il nonno di mio nonno venisse da Montesarchio, in provincia di Benevento, dove vive più o meno la metà del centinaio di famiglie Dello Iacovo d'Italia. Sono sufficientemente napoletano, quindi, per essere un mezzo camorrista anche io. Eppure, io la camorra la schifo.
Schifo la camorra perché la considero l'altra faccia della medaglia di una politica coloniale che viene esercitata contro la mia terra e contro la mia gente da 152 anni. Si chiama sottosviluppo imposto, mancanze di infrastrutture, emigrazione, povertà, disagio sociale, disoccupazione. Una politica coloniale della quale la camorra e la borghesia locale sono storicamente gendarmi, complici e garanti. Del resto, fu lo Stato italiano unitario a entrare a braccetto con Tore 'e Criscienzo a Napoli, elevando i guappi a forza di polizia. Mica io. E nemmeno mio padre, mio nonno e il padre di mio nonno.
Noi la camorra la schifiamo, anche se i camorristi e i Liborio Romano di oggi parlano col nostro stesso accento. Ma allo stesso modo io schifo pure questa cosiddetta società civile alla Dagospia, che non si indigna quando un bambino è costretto a crescere senza speranze, senza prospettive e senza futuro. Come accade a tanti in questa città, nei quartieri più popolari. Perché la questione è tutta lì: raccogli quello che hai seminato a suo tempo.
Perciò, non venite a chiederci di ribellarci, a noi che ogni giorno già ci ribelliamo alla loro vessazione e a quella di uno Stato patrigno per il quale siamo italiani di seconda categoria: Non dovete chiedercelo, perché quella mano che impugna la pistola e minaccia Hamsik è roba vostra. Roba di Italia Spa, con noi napoletani non c'entra proprio niente.
[Rosario Dello Iacovo]
1 commento:
siamo in un paese di mezze calzette, capaci di diventare razzisti per sentito dire o per moda. nella nazione dello scarica barile non c'è da sorprendersi se ci si accanisce contro chi fa più comodo
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