ABOLIZIONE DEL VALORE LEGALE DEL TITOLO DI STUDIO: ENNESIMA RIFORMA CONTRO I LAVORATORI ED IL MEZZOGIORNO di V. Mungo
Ricevo e posto
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Una riforma molto importante che potra'
influenzare in maniera significativa l'avvenire delle giovani
generazioni,
nonche' i rapporti tra le classi sociali ed anche quelli territoriali sta gradualmente passando in italia senza un
adeguato dibattito, sia giornalistico che politico. Intendiamo riferirci alla questione dell’
"abolizione del valore legale del titolo di studio ", che viene
sempre più apertamente sollecitata dai grandi quotidini vicini agli interessi
della grande industria privata del nord e che sembra essere fatta propria
dall'attuale governo con i provvedimenti relativi all'abolizione della
rilevanza del voto di laurea in alcuni pubblici concorsi.
La linea di
tendenza sembra essere quella di attribuire sempre meno valore alle lauree rilasciate
dalle università pubbliche, partendo dal presupposto dello scadimento della
qualità degli studi e dell'eccessivo aumento di quei pubblici funzionari che
contribuiscono ad intasare le università solo per ottenere un titolo che da
diritto ad un avanzamento di carriera. Coloro che propugnano la riforma in
questione sottolineano inoltre che le universita' non sono tutte uguali e che è
sbagliato attribuire lo stesso valore ad un titolo conseguito in una qualunque
università pubblica con un altro conseguito in un istituto di eccellenza (che
sono spesso privati e che ancora piu' spesso si trovano al nord, come la "Bocconi
di Milano, da cui provengono molti esponenti di questo governo). Le università
private tuttavia sono costose e le poche borse di studio che mettono a concorso
(ed in misura sempre minore, come avviene negli Stati Uniti) non servono certo
facilitare il percorso accademico di coloro che sono nati in famiglie modeste. Si
consideri, inoltre, che le università migliori sono quasi tutte localizzate nel
centro nord e che il reddito delle famiglie del sud italia è, mediamente, più
basso rispetto a quelle del nord.
Le aziende a
tecnologia avanzata o di servizi hanno bisogno di lavoratori qualificati che
vengano anche da aree geografiche diverse da quelle dove sono ubicate. Gli
emigrati che oggi abbandonano le regioni meridionali sono spesso in possesso di
titoli di studi qualificati (anche della laurea) ed abolire il valore legale
del cosiddetto "pezzo di carta" permetterebbe a molte aziende di
risparmiare sul costo del lavoro dei nuovi immigrati ed in generale dei
lavoratori piu' qualificati, che avrebbero meno titolo per chiedere un
inquadramento sindacale elevato. La riforma avvantaggerebbe invece coloro che
possono permettersi studi in universita' qualificate (spesso ubicate
all'estero), che non dovrebbero più concorrere alla pari con coloro che, meno
fortunati, si sono dovuti accontentare di un ateneo pubblico non
particolarmente qualificato (speso ubicato nel meridione). L’Università italiana va certamente riformata radicalmente , ma in maniera giusta, premiando
cioe' il merito, non la situazione economica della famiglia di provenienza.
occorre, quindi, abbandonare un falso egualitarismo ( che sta
danneggiando da decenni il sistema dell'istruzione in italia), attraverso
misure che servano a selezionare i piu' meritevoli e i piu' intelligenti
rilanciando l'universita' pubblica (anche attraverso la chiusura dei molti istituti
universitari aperti per motivi clientelari in determinate province
per creare cattedre e posti di lavoro inutili). Si tratta quindi di
abbandonare la strada seguita negli scosi anni sotto la spinta dei media legati
al grande capitale che chiedono riforme che semplifichino il percorso degli
studi, anche attraveso ridicole lauree brevi che non sono spesso
assolutamente qualificanti . Nei principali paesi del mondo gli studi generalmente sono piu' lunghi e
piu' severi che in Italia, a differenza di quanto vorrebbe fare credere la
pubblicistica legata al capitalismo interessato ad avere "proletari
intellettuali " mal pagati.
di V. Mungo
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