Uno studio elaborato dal prof. Gioacchino Amato dell’Università degli Studi di Firenze sfata il luogo comune dell’assistenzialismo ai meridionali. La Sicilia non ha nessuna società locale quotata alla Borsa di Milano. Capitali in fuga dalla nostra Isola
PALERMO - Uno studio, di prossima pubblicazione, elaborato dal Professor Gioacchino Amato, docente di Diritto dei Mercati Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Firenze, sfata il luogo comune secondo cui il Meridione d’Italia sarebbe finanziariamente assistito dall’Italia centrosettentrionale.
In realtà, secondo quanto emerge da questo studio, il Sud Italia finanzierebbe massicciamente, attraverso il risparmio privato, le regioni settentrionali.
Prof. Amato, questa tesi potrebbe liberarci definitivamente da quell’odiosa etichetta di “assistiti” di cui noi siciliani sinceramente ci siamo un po’ stancati. Ce la dimostri in concreto.“Basti pensare al risparmio privato che affluisce quotidianamente sui mercati finanziari. Da siciliano, ho esaminato il caso della Regione Sicilia la quale, pur essendo una regione molto vasta (la sua popolazione equivale a più dell’8% della popolazione nazionale), non ha nessuna società locale quotata presso la Borsa di Milano. Ciò comporta, oltre a un deficit di capitalizzazione delle imprese siciliane, che il risparmio privato che le famiglie siciliane decidono di destinare all’investimento finanziario, affluisce nel capitale delle aziende centro-settentrionali, rafforzandone la struttura patrimoniale e consentendone la crescita sui mercati. In breve, sarebbe il Sud a finanziare il Nord, attraverso il risparmio delle famiglie meridionali, e non viceversa”.
La Sicilia sta vivendo una campagna elettorale molto intensa ed è sotto i riflettori nazionali. Ma a parte i soliti giochi di alleanze, le proposte “vere” e concrete latitano. Cosa dovrebbe fare il futuro presidente della Regione? “Un Regione come la Sicilia, dovrebbe impegnarsi a realizzare una politica industriale volta ad incoraggiare la quotazione in borsa di alcune aziende siciliane pubbliche ma anche private. In tal modo, il risparmio delle famiglie siciliane, che oggi affluisce in maniera consistente nel capitale sociale di aziende del centro nord, sarebbe dirottato nel finanziamento delle imprese siciliane, notoriamente sottocapitalizzate. In tal modo il risparmio dei siciliani rimarrebbe in Sicilia e finanzierebbe le imprese locali anziché quelle settentrionali. A ciò si aggiunga che, la quotazione in Borsa di alcune aziende locali consentirebbe di attrarre anche capitali non locali che altrimenti verrebbero destinati a finanziare la crescita di altre società.
Ciò implicherebbe una svolta culturale da parte dell’investitore siciliano.
“Certo, perché l’investitore siciliano è sempre stato ben lieto di acquistare azioni di società del centro nord mentre tende a non fidarsi di finanziare le società siciliane. A ciò aggiunga che anche se si fidasse non avrebbe materialmente la possibilità di acquistare azioni di società siciliane visto che nessuna di queste è quotate in borsa. Non esistendo quindi un mercato pubblico delle azioni non saprebbe a chi rivolgersi.
Sul piano culturale occorre sfatare il mito secondo cui le società del centro nord Italia sono meglio amministrate di quelle siciliane. Basti vedere come sono crollati gli indici di borsa degli ultimi cinque anni. Tanti investitori siciliani hanno perso un mucchio di soldi comprando azioni del Monte dei Paschi di Siena o di Generali o di tanti altri big dell’industria italiana. Sotto altro punto di vista occorre iniziare ad inculcare nella testa degli investitori siciliani il concetto che se proprio devono assumersi un rischio nell’investimento azionario, tanto vale assumerlo nei confronti di un’azienda siciliana la quale, peraltro, essendo quotata sarebbe soggetta a molti controlli da parte delle autorità pubbliche di vigilanza che tenderanno in parte a ridurre i rischi di cattiva gestione”.
Ma se i soldi sono finiti, come si potrà finanziare il rilancio dell’economia e delle infrastrutture?
“La più grande sfida della classe politica del XXI secolo sarà rappresentata, in un contesto di scarsità e depauperamento delle risorse pubbliche, dal reperimento dei capitali necessari per il finanziamento delle infrastrutture. Detti capitali non potranno che essere privati. Occorrerà pertanto elaborare forme di reperimento di risorse private e la quotazione in borsa delle società che costituiscono il tessuto produttivo dell’economia siciliana sarebbe un primo punto di partenza. La Sicilia dovrebbe ripetere esperienze positive, come quello rappresentato dal Porto Turistico di Licata, in provincia di Agrigento, dove è stata realizzata un’importante infrastruttura di notevole rilevanza pubblicistica senza l’utilizzo di uno solo euro proveniente dalle casse pubbliche. La parte imprenditoriale privata ha messo a disposizione le risorse finanziarie, le idee, la creatività e l’efficienza tipica del settore privato e la parte pubblica ha messo a disposizione l’area demaniale, così consentendo la trasformazione di quella che in passato era una spiaggia derelitta e abbandonata, nella più grande sorpresa turistica di quest’estate 2012 in Sicilia. Attraverso la quotazione in borsa di ambiziosi progetti imprenditoriali pubblici o privati o, tramite la messa a disposizione di progetti imprenditoriali privati di aree demaniali pubbliche, si potranno finanziare le infrastrutture necessarie per il rilancio della Sicilia, come porti, aeroporti, tratte autostradali, tratte ferroviarie, autostrade del mare e via dicendo”.
Patrizia Penna
Twitter: @PatriziaPenna
Fonte: Quotidiano di Sicilia
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