Di Gigi di Fiore
In ottobre, il bilancio delle azioni angloamericane raggiunse le 16.000 tonnellate di bombe sganciate. L’accanimento superò ogni limite, tanto che in quei raid vennero sperimentate miscele chimiche devastanti contenute in serbatoi da 110 galloni che sarebbero poi diventate protagoniste nella guerra del Vietnam vent’anni piu tardi: il famigerato Napalm. A Bari, la tragedia nella tragedia rivelò l’inquietante verità destinata a rimanere segreta. Era la notte tra il 1° e il 2 dicembre 1943, quando un raid tedesco di 105 aerei sul porto provocò l’affondamento di 17 navi alleate (cinque americane, quattro inglesi, tre norvegesi, tre italiane, due polacche), in gran parte della classe Liberty ships che trasportavano anche bombe, e un migliaio di vittime tra i civili. Molti di quei morti furono provocati dalla distruzione della nave statunitense John Harvey, che aveva attraccato quello stesso pomeriggio e trasportava un micidiale carico top secret di 91 tonnellate d’iprite, gas di solito utilizzato per la guerra chimica. Il gas era contenuto in 2000 bombe dal peso di 45,5 chili l’una e doveva servire a un’eventuale rappresaglia in caso di uso di armi chimiche da parte della Luftwaffe. La nave affondò con l’equipaggio non lontano dal porto barese, le bombe si aprirono e il gas contaminò le acque al largo della città (…)
I MARINAI che si gettavano in mare dalle altre navi colpite furono ben presto investiti e impregnati dalla micidiale sostanza. I vapori dell’iprite si sparsero in tutto il porto, bruciando la pelle e contaminando i polmoni dei sopravvissuti. Oltre ottocento militari furono ricoverati per ustioni o ferite. Tra questi, 617 risultarono intossicati dall’iprite. A Bari ne morirono 84, gli altri persero la vita in altri ospedali in Italia, in Nordafrica e negli Stati Uniti, dove erano stati trasferiti a causa della gravità delle loro condizioni. I civili morti per le stesse cause furono non meno di 250. L’ultima vittima si spense, fra atroci sofferenze, un mese dopo il bombardamento. Racconta Augusto Carbonara, un barese protagonista di quelle ore: “All’ospedale neozelandese installato nel non ancora finito Policlinico della città, cominciarono ad arrivare i primi feriti. Molti, piu che colpiti dalle esplosioni, erano provati dall’effetto del gas vescicante. Ma non si sapeva che fosse stato il gas a provocare tali effetti, perché, sul momento, nessuno lo intui. Chi non poté cambiarsi di sua iniziativa rimase con gli abiti zuppi d’iprite, che non solo agì sulla pelle, ma fu assunta attraverso le vie respiratorie. I primi inspiegabili collassi si ebbero dopo cinque o sei ore dalla contaminazione. Dopo, seguirono le prime morti, quasi improvvise, di gente che qualche minuto prima sembrava stesse per riprendersi. Tutti avevano la pelle piena di vesciche. Sulle ascelle, linguine e i genitali la pelle si staccava come per le ustioni piu gravi”. Gli angloamericani cercarono di coprire la verità, ma non potevano far finta di nulla: c’era chi sollecitava spiegazioni su quelle morti insolite. Così fu spedito a Bari un esperto per studiare una versione credibile sull’accaduto. A pochi giorni dal bombardamento, arrivò nel capoluogo pugliese il colonnello Stewart Alexander, già consulente medico per il settore della chimica di guerra nel quartier generale di Eisenhower. Presentò una prima relazione al quartier generale di Algeri il 27 dicembre 1943. Il rapporto, rigoroso pur senza approfondire le ragioni della presenza del gas sulla nave americana, fu approvato da Eisenhower che lo fece archiviare senza alcuna conseguenza.
WINSTON Churchill andò oltre nell’operazione di occultamento: pretese che dal testo venisse cancellata la parola “iprite” e che le ustioni fossero attribuite “ad azione nemica”. In ogni caso, il premier britannico si oppose sempre con decisione all’istituzione di una commissione d’inchiesta. Dopo tutte quelle pressioni politico-militari, la versione ufficiale di comodo fu infine che le ustioni sulle vittime si dovevano a semplici “dermatiti” provocate da cause “non ancora individuate”. Tutto ignoto, quindi con decessi avvenuti quasi per caso. Era la verità di comodo alleata, che metteva la sordina sulla presenza in una nave alleata di devastanti gas chimici vietati dalla Convenzione di Ginevra. (…) Di certo, tra il 1955 e il 2000 piu di duecento pescatori hanno presentato delle denunce per ustioni di varia entità attribuite al «gas mostarda». E quasi una mini Hiroshima italiana, nelle acque baresi. Un capitolo oscuro e silenzioso di cui gli Alleati ancora si vergognano. Solo nel 1993, in una pubblicazione ufficiale medica dell’esercito statunitense si ammise la presenza dell’iprite sulla John Harvey. In questo modo secco: “La nave statunitense John Harvey che trasportava munizioni di gas mostarda ancorata nel porto fu attaccata dai tedeschi e distrutta. La contaminazione dell’acqua e delle zone circostanti fece oltre 600 vittime”.
di Gigi Di Fiore, IFQ
(tratto dal libro "Controstoria della Liberazione" di Gigi Di Fiore, Ed. RIZZOLI - 360 PAGINE, 19 EURO).
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 26 aprile 2012 pag. 4
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